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lunedì 17 maggio 2010

Quando eravamo Borboni..


Quando eravamo Borboni...


Il Sud dell’Italia prima dell’unificazione era un regno, il Regno delle due Sicilie. E questo fu almeno fino al 1861 quando il Piemonte indebitato con Francia e Inghilterra (alla Francia cedette Nizza ) decise, sotto la spinta e l’appoggio incondizionato di questi due stati di infamare per poi depredare la nostra terra. Tra l’altro all’Inghilterra il mirino puntato sul Regno delle due Sicilie gli aveva fatto pregustare un altro obiettivo : il vicino stato Pontificio. Infatti, in tutta l’Inghilterra dell’epoca c’era una sorta di cospirazione protestante, che bramava distruggere, a dir loro “babilonia la grande” che corrisponde alla città eterna, Roma e più precisamente il vaticano e quindi la Chiesa tutta e di certo, Garibaldi ( primo massone) quando con la famosa breccia di Porta Pia attaccò il regno Pontificio illudendosi forse che caduto il potere temporale della Chiesa sarebbe poi andata distrutta, avrebbe dovuto rammendare meglio quel passo evangelico in cui Gesù riferendosi alla Chiesa disse:” le porte degli inferi non prevarranno su di essa ! “. Già da molto tempo, attraverso i mass-media di allora, era partita una campagna diffamatoria contro i Borboni. Le promesse fatte da Garibaldi di certo non furono mantenute. Fu imposto il servizio militare che nel regno già era facoltativo. Ma la decisione peggiore fu la chiusura delle fabbriche e molte di esse furono trasferite al nord. Nella valle dell’ Irno, dove la popolazione era dedita alla lavorazione della lana, tantissimi operai restarono senza lavoro, la stessa sorte subirono le numerose ferriere irpine ; furono inoltre confiscati i beni della Chiesa e l’energica protesta del vescovo d’Avellino Mons. Gallo per i soprusi perpetrati ai danni di gente inerme ed innocente gli valse la deportazione in un lager sulle alpi. Non era solo un cambiamento politico ma vennero strappate a forza le radici culturali etiche e soprattutto religiose di un popolo; fu guerra di principi dunque che ci invase, principi illuministici e rivoluzionari, già diffusi nei salotti aristocratici e borghesi, imposti dalle baionette e dai cannoni Napoleonici e l’occupazione piemontese si presentò con i biglietti da visita della scristianizzazione massonica e dello sfruttamento economico. A tutto ciò però un popolo eroico si oppose con tutta la forza dando vita alla più grande insurrezione popolare mai conosciuta dall’Italia che costò almeno 70 000 morti ! tutto questo fenomeno a carattere spontaneo e populistico viene ancora oggi misconosciuto a causa della storiografia ufficiale, che è poi la storia scritta dai vincitori che sbrigativamente ha identificato col nome di “ briganti “ tutti i popolani insorti !
Il Regno delle due Sicilie era tutt’altro che povero, c’erano già le prime forme di welfare state (stato del benessere ) come l’albergo dei poveri a Napoli; c’erano 200 km di strada ferrata, cosa che non aveva il Nord e i viaggiatori attraversandola questa nostra terra l’avevano denominata “giardino” tanto era ben coltivata. I frutteti erano il nostro orgoglio; gli agrumi venivano esportati in tutta Europa . Napoli era la capitale della cultura; Il teatro San Carlo era il fiore all’occhiello dell’Italia, gli scavi di Pompei erano già frequentatissimi e il Re di mercoledì riceveva tutti, apriva le porte alle massaie e alle contadine e tutto ciò in un clima sereno derivante dal fatto che non si conoscevano guerre da diversi secoli nel paese e né tanto meno ce n’erano in programma; l’esercito borbonico infatti era costituito da un esiguo numero di volontari, proprio come voleva la tradizione cristiana-medievale. La zona della valle dell’ Irno fu interessata solo marginalmente dagli eventi, di guerriglia urbana e insurrezione popolare che ebbero come centro le falde del Termino, infatti il percorso delle bande giungeva solo a lambire i nostri monti. Nonostante ciò non mancano eventi di notevole importanza a cominciare dal 1861 quando a Solofra, fu contestata con manifestazioni di piazza l’elezione a sindaco di Girolamo Grassi, espressione dello stato liberale messo al potere dai nuovi padroni. Al grido di “ viva o re nuosto, morte a’ liberali e ai garibaldini “ la sommossa solofrana portò alla sostituzione del nuovo sindaco col borbonico Vincenzo Guarino che rese obbedienza all’esiliato Francesco secondo ( Re Borbone delle due Sicilie) mentre i possidenti solofrani, rintanati a Napoli presidiata dall’esercito piemontese, attendevano che l’ordine fosse ristabilito. A S. Agata invece gruppi antirivoluzionari abbatterono l’albero della libertà, a cui risposero vari centri del Montorese. Per sedare questa situazione di forte fermento e contrapposizione furono inviati da Napoli un gruppo di 800 soldati, che aggravò le cose perché costoro avevano bisogno di alloggiamenti ed erano una piaga per la popolazione che doveva fornire loro vitto e alloggio. L’opposizione contro le amministrazioni comunali, nasceva dal fatto che queste erano costituite dalla parte ricca della popolazione che si era impossessata del patrimonio demaniale. Quello delle terre demaniali fu la vera molla che fece scattare la ribellione delle popolazioni, poiché su queste terre i contadini, fino ad allora ( grazie ai borbonici) avevano esercitato gli usi civici, cioè avevano tratto il necessario per vivere. Era loro permesso infatti di mettere gratuitamente a coltura piccoli appezzamenti di terra nel demanio pubblico. Ma i danni non furono solo questi, basti pensare che Solofra era già famosa per la lavorazione della concia e per le tante botteghe, più di un centinaio che producevano le preziose pergamene, ebbene di queste botteghe dopo l’occupazione piemontese ne rimasero 5 o poco più. Uno dei capi della Vandea, Monsieur de Charett, disse un giorno ai suoi seguaci : “ la nostra patria per noi sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re … ma la loro patria cos’è per loro ? voi lo capite ?... loro l’hanno nel cervello, noi la sentiamo sotto i nostri piedi…” parole che avrebbe potuto dire un qualunque insorgente italiano del Regno delle due Sicilie magari nostro compaesano….

Francesco Diana

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